STATI UNITI

Ho pensato di postare questo racconto di viaggio, anche se “un po’” in ritardo: era agosto 2001.

Affidandoci ad una agenzia specializzata, abbiamo messo la nostra moto su un container, insieme alle moto degli altri partecipanti, e l’abbiamo spedita negli USA. Là avevamo a disposizione una guida in moto che precedeva la comitiva di motociclisti, e la ‘scopa’, cioè un furgone che trasportava i nostri bagagli e raccattava eventuali mezzi in difficoltà. Per completezza dirò che il giro iniziava a New York e noi ci siamo uniti alla comitiva solo dopo, a ridosso delle Montagne Rocciose, per arrivare infine a San Francisco. Ce ne siamo pentiti già al secondo giorno; spero di fare un Coast to Coast completo prima che sia tardi.

Le foto che vedrete non sono un gran che, come definizione. Non avevamo ancora la digitale e abbiamo quindi sviluppato e stampato col vecchio sistema dei rullini. Da qui ho selezionato un po’ di foto e le ho scannerizzate.

Fortunatamente ho scritto le impressioni di viaggio subito dopo essere tornato, per cui le riporto fedelmente. I commenti alle foto sono stati scritti adesso.

GLI U.S.A.

Tempo fa, in spiaggia, parlando del più e del meno, un tale argomentava più o meno così: “Io non capisco quelli che, pur potendo comprarsi un’auto da 80 milioni, preferiscono prenderne una da 35-40 e poi spendere la differenza per viaggiare. O sono scemo io o sono scemi loro.” Io ho preferito non intervenire, anche se la risposta è ovvia: chi è contento delle proprie scelte non è “scemo”, non sbaglia mai.

Vorrei ora citare un aforisma attribuito a Giacomo Leopardi: “Il più solido piacere di questa vita, è il piacere vano delle illusioni”. Perché questa citazione? Perché il mototurista (e qui finalmente entro in argomento), a cavallo del suo mezzo, non ha l’involucro costrittivo di una carrozzeria, sente i profumi nell’aria. Egli respira direttamente il luogo che attraversa, quindi prova una sensazione di libertà, per quanto illusoria.

Prendiamo ora un mototurista come il sottoscritto, abituato magari al traffico cittadino, che per provare questo piacere, deve andare fuori città a cercarsi le stradine fuori mano. Mettiamo ora questo mototurista, con la sua moto, nel deserto dell’Utah, o nella Monument Valley: questa sensazione diventa dirompente, travolgente, immensa come gli spazi americani. Mettetelo su una di quelle strade ‘da film’ che filano dritte dritte in un paesaggio selvaggio, col terreno ondulato, senza altri segni dell’opera dell’uomo, per cui vedi anche 18 km di rettilineo perdersi laggiù. “Non ci sono aggettivi”: questo pensavo mentre mi trovavo in questa situazione. I rullini di fotografie andavano via ad un ritmo impressionante, ma serviranno per gli amici: il ricordo che mi resterà di questo viaggio potrà anche farne a meno.

Siamo partiti da Fort Collins, a 80 km da Denver, Colorado, e abbiamo girato per le Montagne Rocciose

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Due viste delle Rocky Mountains, oggetto del primo tappone

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Poi una strada nel  nulla
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Per arrivare a Moab, Utah
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Altre due viste di Moab

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Vicino a Moab, l’ Arches National Park. Archi di roccia, appunto, oltre a svariate e bizzarre forme di pietra da erosione

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La testa di Indiano, al centro

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Questi sono i luoghi dove Willy il coyote andava a sfracellarsi inseguendo beep beep.

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E arriviamo a Bluff, Utah. Ci arriviamo verso le 19. L’hotel ci apre le porte, dato che c’è la prenotazione pagata per tutta la comitiva, ovviamente, ma il ristorante, l’unico, è chiuso, a quell’ora. (!) Dopo una certa trattativa accettano di farci una bistecca. Sono proprio cow-boys!

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Due scorci di Bluff. A dispetto del nome, un posto ‘vero’

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Visitiamo Mesa Verde, Colorado, contea di Montezuma. E’ un insediamento precolombiano, di una popolazione chiamata Anasazi.

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Presenza, sempre discreta, dei Rangers

E’ incredibile come i chilometri volino via in questo paradiso per motociclisti. Si potrebbe pensare che cento chilometri di paesaggio costantemente uguale possano annoiare. Invece no, anzi, sono necessari per imprimere bene nella memoria la propria esperienza. Poi, prima che ti prenda la noia, prima che se ne senta la necessità, il paesaggio cambia repentinamente, ed ecco nuovo stupore, un nuovo colpo d’occhio impressionante, e un nuovo stop per mettere mano alla macchina fotografica.

Ogni giorno, poi, la cosa si ripete. Per chi, come me, comincia il giro ai piedi delle Montagne Rocciose, dalle parti di Denver, Colorado, ogni giorno c’è una meta importante da raggiungere: Le Montagne Rocciose, Il deserto dell’Utah coi suoi archi di roccia e i suoi canyons, la Monument Valley, coi suoi incredibili monoliti di roccia rossa che si innalzano sul deserto, l’immensità del Grand Canyon (visitabile in aereo!), il paesaggio lunare della Death Valley, il suggestivo parco di Yosemite. Dopo ognuna di queste mete, si doveva risalire in sella e percorrere dai 70 ai 150 chilometri non autostradali per raggiungere l’albergo. Da mettersi le mani nei capelli qui, in Italia. Ma lì, col tramonto, erano quasi una ciliegina sulla torta, un modo per rimandare la fine di una giornata splendida.

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Four Corners: Utah, Colorado, New Mexico e Arizona
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Laggiù, a 18 chilometri, c’è Kayenta. Ci stiamo avvicinando alla Monument Valley
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Si cominciano a vedere i primi giganti di pietra

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Ed eccola, la Monument Valley, una delle più celebri cartoline degli USA

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Il sottoscritto, trionfante, molti anni (e chili) fa

Il rientro in albergo dalla Monument Valley, 47 miglia (circa 75 chilometri), su una strada deserta misto-veloce, al tramonto, contornato da un paesaggio lunare, è stato uno dei momenti più belli mai trascorsi in moto.

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Il Grand Canyon

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L’azzurro che vela la parete opposta del canyon non è dovuto a foschia, ma alla distanza
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Il Grand Canyon si può visitare in aereo (!), in elicottero, ma anche così
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Potevo mancare quest’altra cartolina?

Andando verso Las Vegas ci buttiamo nel caldo torrido del Nevada. Ci informano che in città ci sono 40 gradi a mezzanotte. Un bagnetto quindi non guasta. Beaver Creek. Siamo per l’ennesima volta sul fiume Colorado.

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Beaver Creek

Un solo, gradito, diversivo: la geniale follia e l’ostentazione di ricchezza degli americani. Alcuni cittadini statunitensi possono affermare: “Sono dipendente di un albergo nel deserto: faccio il gondoliere”. Sto parlando di Las Vegas. Pur di attirare giocatori d’azzardo (espressione sostituibile con la parola “dollari”) hanno pensato a tutto. Il Ponte di Rialto, Piazza San Marco col campanile, alcune calli coi canali riempiti d’acqua e di gondole con gondoliere-cantante, i palazzi a tre piani riprodotti fedelmente. (ma con negozi veri) Va’ un po’ a spiegare al capo del personale che i gondolieri, nella Venezia vera, non cantano O sole mio! Tutto questo in un ambiente climatizzato con tanto di cielo finto. E non c’è solo Venezia: c’è l’hotel ispirato a Manhattan, circondato da un otto volante impervio, mozzafiato; c’è l’atmosfera bohemienne del quartiere latino di Parigi (non manca una piccola Tour Eiffel), c’è una slanciatissima torre di cemento con un rilucente ristorante girevole sulla cima. Insomma una città Luna Park.

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L’hotel Manhattan, sembrano tanti edifici, ma è uno solo. Notare l’otto volante

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L’hotel Aladdin
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Il MGM, dove abbiamo alloggiato noi
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L’hotel Parigi
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Il famoso Caesar Palace, in confronto, sembra vecchio e compassato

l’hotel ispirato a Venezia è quello che più mi ha stupito

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Il Venetian

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Questo è uno scorcio dell’interno: acqua vera e cielo finto. Peccato per la banalizzazione. I gondolieri, direi per contratto, devono cantare. Cosa cantano? O sole mio ! Ma dai…
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Altro trasferimento, ancora più al caldo: Death Valley, la Valle della Morte
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Acqua affiorante nel torrido. Questo angolo si chiama Badwater

Per darvi un’idea di quanto caldo facesse, vi racconto un aneddoto. Siamo nel piazzale di Badwater, e arriva un pullman di turisti. Noi siamo lì già da un po’ e il caldo lo stiamo sentendo. Ci mettiamo in due o tre nella fettina di ombra creata dal pullman stesso. Ehi, ragazzi – dico – non sentite anche voi questa strana aria fresca? Si – mi rispondono gli altri. Mistero svelato: ci eravamo messi proprio davanti alla grata di scarico dell’impianto di aria condizionata del pullman. QUELLA era aria fresca!

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Yosemite Park. Notare la differenza di dimensioni fra auto e albero

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Infine raggiungiamo la costa del Pacifico, poco a Sud di San Francisco

Per spillare dollari, comunque, le inventano tutte, e non solo a Las Vegas. Ogni visita a qualche bellezza naturale costa dieci dollari a testa. Ma questo è accettabile, visto che da quelle parti non c’è Pantalone, e quel denaro serve per una manutenzione quasi sempre impeccabile. I confini fra gli stati americani, spesso sono costituiti da righe dritte, (evidentemente non si sono mai fatti la guerra per spostarli) per cui succede che in un certo punto si incrocino a perpendicolo due rette, formando quattro angoli, appartenenti ad altrettanti stati diversi: New Mexico, Arizona, Utah e Colorado. In quel punto, chiamato “Four Corners” c’è una lapide orizzontale (ovviamente enorme) solcata da due linee perpendicolari, con tanto di balconcino per fotografarla coi suoi occupanti. Subito intorno ci sono banchetti gestiti da pellerossa che vendono bigiotteria locale, souvenirs e bibite. Poi c’è il nulla del deserto.

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Ed eccoci, alla fine del viaggio, a San Francisco
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“Qualche” leone marino
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Come in una riuscita barzelletta, “qua in America, tutto è più grande”
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Una gita fuori porta, nella Napa Valley, famosa per il vino
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l’ex carcere di Alcatraz
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Il Golden Gate

Per fortuna che ho scattato questa foto. A visitare il Golden Gate ci sarei andato il giorno dopo, come in programma, solo che il giorno dopo…

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… la visibilità era questa!

C’è ancora da annotare la bellezza delle strade americane, e non solo per il paesaggio: asfalto praticamente senza buche, automobili poche (non sulla costa, si intende), educazione stradale degli americani per noi inimmaginabile. Essi praticamente guidano come da noi guiderebbe un esaminando per la patente osservato da una pattuglia della stradale. I limiti di velocità non sono più draconiani come un tempo (104 chilometri orari sulle statali e 120 sulle autostrade) e non è un problema rispettarli. Per la verità qualche americano “ci tira” un po’ di più, ma non in modo folle: è l’unica eccezione a quanto affermato poco sopra. Nelle strade di montagna c’è, in salita, una corsia che permette ai veicoli lenti di accostare per far passare il codazzo di veicoli che gli si forma alle spalle, e che viene regolarmente utilizzata (!); mentre in discesa ci sono rampe in contropendenza per i veicoli pesanti che dovessero rompere i freni. (Ci sta: nelle Rocky Mountains l’autostrada valica a 3400 metri, poi discesa per 50 km!) Le autostrade, quasi sempre, sono costituite da due carreggiate, senza guard-rail, separate da una lieve infossatura larga otto – dieci metri, con fondo terroso o sabbioso che fa’ da via di fuga e impedisce i nostrani frontali da salto di carreggiata. Vogliamo esagerare? Ho visto persino una corsia destinata alla prova freni, (c’era un cartello che lo diceva espressamente) con tanto di segni di inchiodate! A proposito di cartelli: nella valle della morte, in un luogo parecchio distante da insediamenti umani, oppresso da una calura devastante, c’è un luogo che si chiama Badwater (letteralmente “Acqua Cattiva”), ed è costituito da un Restroom (un cesso, per intenderci), da una incredibile pozzanghera e da un palo. Sul palo ci sono tre cartelli. Il primo indica che il sentiero (bravo chi l’ha visto, in mezzo al sale) è percorribile solo a piedi, il secondo che non vi possono transitare le moto, il terzo che è vietato portarci… il cane! Qualcuno, come me non più giovane, ricorderà le strisce di Johnny Hart, chiamate BC, dove i protagonisti erano uomini preistorici con i problemi e le nevrosi dell’uomo del 2000. Un tormentone veramente esilarante era costituito da una serie di cartelli dal contenuto assurdo, posti in mezzo al deserto. Ora sospetto di sapere come venne all’autore tale ispirazione.

Infine voglio parlare delle dimensioni. Si è indotti a pensare che la grandiosità della natura abbia condizionato gli americani a fare e a pensare altrettanto in grande. Già ho parlato di Las Vegas e delle strade americane: devo dire ancora dei trucks, i camion americani, con quei radiatori monumentali, immensi e lunghissimi (ho notato degli autoarticolati con rimorchio!). Devo dire dei treni: mentre facevo sosta in un paesino sulla storica 66, ho visto passare un convoglio merci trainato da tre motrici e lungo a perdita d’occhio. Devo dire del caldo: a Las Vegas ci sono 40 gradi a mezzanotte, mentre nella Death Valley e zone limitrofe si arriva a 50 gradi all’ombra. E ancora esagerazioni, sia dell’uomo che della natura: al posto delle alghe ci sono veri e propri arbusti marini, al posto dei passeri degli uccelli simili a merli, al posto dei nostri granchi dei “mostri” grossi come una mano aperta, escluse le chele. A San Francisco, poi, c’è una colonia di almeno seicento leoni marini che noi ci aspetteremmo di vedere soltanto nei documentari sulla banchisa polare. Anche i clochards vanno alla grande, per la verità: presenza tutt’altro che discreta, hanno occupato di fatto gran parte del centro della città, lasciando ai turisti solo la zona dei moli e dei ristoranti.

Finito il viaggio, sono tornato alla mia spiaggia, ma nel frattempo quel signore della macchina da 80 milioni se n’era tornato a casa. Ancora in preda all’emozione, volevo dirgli, primo, che molti considerano l’automobile soltanto come un oggetto (se non un male) necessario, e non come uno status symbol. Secondo, che dopo un viaggio qualcosa rimane, anche se non ha valore di mercato. Eccome, se rimane!

2 pensieri su “STATI UNITI

  1. Ciao dal BianConiglio! non è la prima volta che leggo i tuoi report linkati sul Forum di Mototurismo, ma è la prima che vengo appositamente qui e ho iniziato con gli USA che sono uno dei miei sogni proibiti, la 66 la percorrerei tutta da Chicago al Pacifico, poi salirei fino a Seattle (dove vive un mio amico) per tornare costeggiando il confine canadese… sognare non costa niente.

    Quando scrivevi, verso la fine, dei Four Corners ho sorriso perchè… https://blog.libero.it/biangege/12834070.html

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    1. Ciao.
      Mi fa’ piacere che tu mi legga. Ormai, visti i numeri che fa’ questo mio blog, posso dire che scrivo principalmente per me. Ma se qualcuno mi legge sono ben contento; se poi questo qualcuno è una persona che stimo, (cioè te) meglio ancora.
      Per quanto riguarda Four Corners, quando ho scritto il racconto sono andato a memoria, e dopo la tua precisazione sono andato a verificare: sembra che wikipedia mi dia ragione: https://it.wikipedia.org/wiki/Four_Corners
      Spero di esserci al ritrovo che sta organizzando Fabio, detto Fabbbio; così ci incontriamo
      Un cordiale saluto
      Valerio

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